Il racconto del prof. Bellone su una trasferta di Udine: con Pulici in campo, ma con la maglia “sbagliata”. E gli ultras…

In queste foto Luca non c’è, soltanto perché le ha scattate lui. In mille altre immagini come queste lo si può trovare, forse un po’ discosto, magari un po’ indietro, ma è lì, insieme a quei ragazzi con le braccia alzate, a ritmo di Toro. È affascinato dal mondo ultras, ma non ne fa parte. Lo vive la domenica, ma non durante la settimana, né come gruppo, tantomeno nelle scorribande contro le tifoserie avversarie. Per due ore si sente uno di loro. Ma non lo è. All’uscita dagli anni di piombo, la sociologia lo definirebbe un fiancheggiatore. Li conosce uno per uno, nome per nome, faccia per faccia. Fama per fama. Qualcuno sa chi è lui, di vista, per averlo visto tifare, partecipando ad ogni coro. O per averci scambiato qualche parola. Sanno che non si risparmia. È spesso in trasferta, ma cambia sempre pullman e club di riferimento. Con gli ultras non viaggia mai. Non vuole questioni, non cerca rogne, non regge discussioni inutili con sua madre. Ma poi è sempre lì, dietro di loro, appena una fila. Un anno ha fatto la tessera del teschio. È successo dopo un’estate in Liguria, quando ha passato un mese con alcuni di quei ragazzi. Ha fatto gruppo con loro, ne è diventato amico, come si può essere amici d’estate, quando, da ragazzi, succede tutto. Ma non riesce a fare il passo successivo. Luca non riesce a vivere, non ce la fa.

La trasferta di Udine è particolare, è lontana e faticosa da fare in giornata, ma Luca vuole esserci a tutti i costi. Il motivo è che lo ha promesso a Pupi. Paolino Pulici ha appena avuto la lista gratuita dal club, il che significa che Sergio Rossi, appena subentrato a Pianelli, lo ha lasciato libero di cercarsi un’altra squadra. A volte le bandiere sono ingombranti, Pupi per il Toro è diventato un macigno. Bersellini può affidarsi ai nuovi, senza che si sentano condizionati da una personalità così forte. Borghi, Selvaggi ed Hernandez devono poter giocare senza l’ombra del tre volte capocannoniere della serie A. Così l’attaccante più amato della storia del Toro trova una nuova squadra, l’Udinese. Il 3 ottobre 1982 sarà la prima volta che Pupi giocherà contro i suoi colori e Luca vuole esserci, glielo ha promesso.
L’ultimo venerdì di settembre è stato al Fila a veder calciare Pato Hernandez. Punizioni, rigori, tiri da ogni posizione e dribbling. L’allenatore vuole che l’argentino provi a liberare il suo estro, senza timori. Poi ha santificato la domenica in Maratona, ma è arrivato solo un pari con il Genoa. Il martedì successivo è tornato al Fila e ha deciso che in Friuli andrà in solitaria. Potrebbero volerci tre giorni andando da soli, se serviranno li troverà. Quelli così li chiamano “cani sciolti”, bisognosi di tutto, dipendenti da nessuno. Il venerdì comincia il viaggio di avvicinamento, va sulla rampa in cima a corso Giulio Cesare e fa autostop fino all’autogrill di Novara, dove becca un tizio che lo porta a Milano. Lì vede Cri e Cati, che lo aspettavano già da un’ora, ma sarebbe stato meglio lasciar perdere. Alle 17.20 prende un treno da Porta Garibaldi per Bergamo, dove dorme all’ostello della gioventù. Prima, però, fa un salto a piedi allo stadio, per entrare in clima trasferta. Sui muri perimetrali legge i messaggi di sfida: “Ultrà bolognese corri a perdifiato, il nostro rasoio è più affilato”; “Boys, le vostre fughe sono già leggenda”; “Padovani, se vincete, non uscite”. Rivive i ricordi della drammatica trasferta contro l’Atalanta dell’anno prima e della storica battaglia del campionato ancora precedente. Beve due birre e mangia con tremila lire.

Il sabato si sveglia presto e va a piedi al casello autostradale di Bergamo. Da Palmanova in poi viaggia sulla statale. Alle 14.30 è già arrivato a Udine. Cambia otto auto, ma ce la fa. Evidentemente ispira fiducia, perchè lo caricano un po’ tutti: due sposini, un camionista, un venditore di volatili, un tipo con una macchina marcia, un militare in libera uscita. Anche un tifoso dell’Udinese, che gli offre da bere. Si fa spiegare la strada per lo stadio e scopre che quello nuovo di zecca non è allo stesso posto del vecchio Moretti. Per risparmiare compra pane e mortadella e cena alla buona. Dorme all’albergo Trieste, con 11 mila lire.
Alle 8.30 della domenica è già in piedi e va in centro. Più tardi trova due ragazzi che non conosce su una macchina targata Torino e chiede un passaggio per il ritorno. Quelli hanno i biglietti di tribuna, ma gli dicono di trovarsi al bar dietro lo stadio, subito dopo la partita. Compra un biglietto di curva e un gagliardetto ufficiale dell’Udinese, che manca alla sua collezione originale, si fa un panino, una birra ed entra. Ci sono una decina di striscioni, i pullman degli Ultras e dei Fedelissimi e gli amici del Gigi Meroni di Milano. Sul lato della curva, ben visibile per le televisioni, campeggia il saluto al suo campione: “Non potremo mai dimenticarti: Forza Pupi”. Saluta quelli che conosce, si stupisce che manchino tanti dei vecchi, si augura che non si tratti di un ricambio generazionale. La partita quasi non la ricorda, ha occhi solo per il suo mito, che non segna. Per noi vanno a rete Hernandez e Borghi, finisce 2 a 2. Alla fine volerà qualche botta, con relativa perquisizione al torpedone degli ultras: tutto in piena regola. Esce senza più un filo di voce e corre al bar, aspetta oltre un’ora, ma quelli del passaggio non si vedono. Allora salta su un bus e si fionda in stazione, dove alle 20.50 prende il diretto per Venezia. Mangia una pizza e si siede per terra, davanti al Canal Grande. È bella Venezia. Con le calli deserte, di notte, ancora di più. Pensa che i Fedelissimi saranno già quasi a Torino, ma a lui piace così. Pensa alla vita che gli passa davanti, come l’acqua dei canali, e a quella che non riesce a vivere, ma non vuole chiedersi il perché. All’una e cinque minuti sale sul notturno, eterno, che lo porterà a Porta Susa per le otto e un quarto del lunedì. È la sua trentanovesima trasferta, dietro al Toro. Forse dovrà telefonare a Anna, che, di certo, lo cerca invano da tre giorni.

 


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Marco Acquaviva
Marco Acquaviva
7 anni fa

quel giovane che suona i piatti nella foto sugi spalti….e bene sono io…vicino il mio grande amico Butcher

Andreas
7 anni fa

Avevo sentito quell’altra storia (me l’hanno raccontata, ero troppo piccolo) quando Pupi giocò forse un Toro Udinese e Danova ricevette molti fischi poiché fece un fallo, forse non bello, al ns Pupi con la maglia bianconera (paura!!). Come dice thethaiman, più Toro del Toro! Qualcuno conferma o ha da aggiungere… Leggi il resto »

Lovi
7 anni fa
Reply to  Andreas

6 febbraio 1983, Toro-Udinese 0-0, Pupi subentra a Virdis a 20 minuti dalla fine. Parte un applauso interminabile e il coro di sempre: “For-za Pu-li-ci!”. Qualche minuto dopo Danova atterra Pupi e parte dalla Maratona una bordata di fischi di cui ancora oggi si favoleggia e si narrano storie tramandate… Leggi il resto »

ExIgneFaxArdetNova
7 anni fa
Reply to  Andreas

Si mi ricordo ero presente anche io. All’ingresso di Pupi un boato, manco avessimo segnato.

Fausto65
7 anni fa

Andò prima ad Udine e poi a Firenze a fare da chioccia ai giovani attaccanti di allora, non ho mai capito perché quello che faceva lì non gli hanno permesso di farlo al Toro. Che dispiacere….

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